548DAB Magie di Omnia

sabato 4 luglio 2009

Cuore d'Acciaio

Riapro la rubrica sugli incipit con uno degli inizi più fulminanti che abbia mai letto, quello del romanzo di fantascienza-new weird di Michael Swanwick "Cuore d'Acciaio", ormai introvabile, ma che potete trovare su e-mule.

Anche se allora la bimba rapita ai mortali non lo sapeva, la sua decisione di rubare un drago e scappare nacque la notte in cui i bambini si riunirono per complottare la morte del loro supervisore.



Di sicuro è un incipit folgorante, che entra subito nell'azione, con poche e semplici righe ci racconta una storia intera. E' proprio questo accenno che domina i primi capitoli del romanzo e oltre. Inizio speciale per Swanwick, che non ci introduce tramite l'ambientazione, o evocativi passaggi di descrizione, ma direttamente nelle intenzioni della protagonista, una bambina di nome Jane, molto ben caratterizzata, soprattutto a livello umano.

Parentesi. Viste le recenti polemiche alla mia recensione del romanzo di Gamberetta ci tengo a sottolineare un paio di cose.
Sono stato spinto a leggere questo romanzo perchè si dice (a SUA detta) che sia uno dei capi saldi del New Weird, il genere del Bizzarro, da me tanto biasimato nella recensione suddetta.
Mi sono detto "se è il genere, proverò disgusto anche a leggere questo romanzo" e invece... in parti come questa:


«Vieni,» disse lei mettendo a forza un po’ di sollecitudine nella voce. «Devi tornare a letto.» Lo prese per un braccio, sconvolta sentendo quant’era leggero, quanta poca resistenza le opponeva, e lo guidò al suo lettino. Lo fece sdraiare e rincalzò la coperta. Toccarlo non era così repellente come aveva pensato.
«No. Tu devi...» Per la prima volta aprì l’occhio. Non aveva il bianco. La pupilla si era allargata oltre la palpebra, scoprendo un buco nero e senza luce completamente fuori dall’universo. Jane gli lasciò il braccio, spaventata. «Trampolo... non era... il solo che stava crescendo. Io ho la seconda vista. Non molta, ma un pizzico ce l’ho.»
Rabbrividì ancora. L’awen era su di lui, si muoveva sotto la sua pelle, minacciando di frantumargli le ossa dall’interno. La struttura sottile fremeva per tanta forza, come un motore per la troppa tensione.
Dominando la propria paura, Jane si infilò sotto la coperta, lasciando che li avvolgesse entrambi nelle sue pieghe, come sotto una tenda. Abbracciò Galletto e lo tenne contro di sé. Era freddo come un cadavere.


Mi sono quasi commosso. Anche del fatto che stessi leggendo un New Weird in cui ci fossero dei veri sentimenti! Che dire? In questo romanzo il bizzarro non manca di certo, ma i personaggi sono umani fino all'inverosimile e lo scrittore ama i bambini e non gode delle loro sofferenze, ne sono certo.

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martedì 19 maggio 2009

Il Fuoco della Fenice

Pian piano, sto resuscitando un po' tutti i punti cardine di questo blog. Man mano che la fine di questa "Via Libris" si avvicina per dare spazio al nuovo inizio, vorrei risvegliare il mio mostro di Frankenstein, a piccoli schiaffetti, magari con i sali aromatici.
Il profumo di un buon incipit è il prossimo passo. Questo incipit profuma di incenso, calda cenere, di fuoco crepitante, di rinascita.

Alla luce del tramonto la cittadina di Sabbiescure era solo uno sgangherato profilo di case e lamiere arrugginite, ombre nere nel rosso senza fine del deserto.
Non c'era molto altro da vedere nella parte meridionale del mondo conosciuto. La terra si riduceva a poco a poco più di un ammasso di baracche fatiscenti che a fatica reggevano gli assalti del tempo.
Polvere.
Polvere e rocce.
Uno dei tanti luoghi dimenticati da Dio, dove un vento quieto alzava a ogni ora del giorno e della notte la sabbia in piccoli vortici sottili. Granelli fastidiosi che s'intrufolavano dappertutto e pungevano il viso, graffiavano il corpo, lasciando i segni del loro passaggio. Ma in quel momento alla donna non importava.
Era solo un puntino bianco nell'immensità rossa. Uno svolazzare di veli candidi che pochi avrebbero notato fra tutto quel rosso.

Da "Il Fuoco della Fenice" di Luca Azzolini


Ho avuto la fortunata occasione di parlare con l'autore del romanzo proprio al Salone del Libro di Torino e a lui ho esposto la mia teoria legata al suo stile, che scivola davanti ai nostri occhi già da questo immaginifico incipit.
Luca Azzolini riesce a coniugare lo stile evocativo e visuale del fantasy classico, le carrellate sui vasti paesaggi, le panoramiche, i dolly cinematografici del Technicolor, con immagini moderne, pungenti, taglienti. Grandi deserti insidiosi, una immensa megalopoli scintillante e pericolosa. Leggendo il suo libro si ha l'impressione di vederlo, non è immaginazione, è realtà. Il puntino bianco nell'immensità rossa del deserto, quella donna che sfida le avversità di un luogo ostile è un'immagine netta, è un quadro impressionsta, è folgorante.
Giocare con le strutture del fantasy è come giocare col fuoco, io ci provai e mi sono scottato. Luca Azzolini ci ha giocato e ha creato meravigliosi effetti pirotecnici, lamiere lucenti che riflettono una realtà editoriale sempre più incerta, decadente, specchietto per gli allocchi, ma pur sempre un abbaglio accecante che non si può fare a meno di notare.





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martedì 11 novembre 2008

I Prodigi di Francesco Falconi

"Come un sole di mezzanotte, la luna piena sovrastava la coltre scura del cielo e illuminava la terra di una tinta spettrale. Per un breve istante, un'ombra macchiò il disco lunare scese in picchiata verso la terra. Era un corvo.
La bestia disegnò ampi cerchi in aria, quindi planò al suolo, sorretto da vigorosi colpi d'ala. Occhi neri come fulcri di tenebra si mossero sulla piana circostante, nell'avida ricerca della meta predestinata.

da "Prodigium - I figli degli elementi" di Francesco Falconi



Un incipit pulito, terso come una notte di stelle. La scena è chiara, il movimento dell'animale è descritto alla perfezione. Sembra un'inquadratura cinematografica, un dolly dall'alto. Lo stile dell'autore, in genere molto ellittico ed evocativo, qui lascia spazio a un andamento più scorrevole. Tutto il romanzo è più lineare, le storie che vi si incontrano e lo stile si sono allineati a una struttura più lineare ma comunque ricca di colpi di scena e trovate sorprendenti e fascinose.

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sabato 14 giugno 2008

On Writing di Sthephen King

Non ci sono cani cattivi, dice il titolo di un popolare manuale di addestramento, ma non andate a raccontarlo al genitore di un bambino che è stato appena morsicato da un pitbull o da un rotweiler; è facile che vi spappoli in naso. E per quanto io desideri incoraggiare l'uomo e la donna che tenta per la prima volta di scrivere seriamente, non so mentire dicendo che non ci sono cattivi scrittori. Spiacente, ma ci sono un sacco di cattivi scrittori. Alcuni lavorano nelle redazioni dei giornali, anche quelli che leggete voi, di solito recensiscono produzioni teatrali o pontificano sulle squadre sportive locali. Alcuni si sono disegnati con l'inchiostro una via fino ai Caraibi, lasciando dietro di sè una scia di avverbi pulsanti, personaggi di legno e raccapriccianti forme passive. Altri tengono duro alle recite di poesie con i loro dolcevita neri e i calzoni nocciola tutti spiegazzati; declamano ridicolaggini in versi su "le mie rabbiose tette lesbiche" e "il vicolo inclinato dove invocai il nome di mia madre".
Sulla scrittura da "On Writing" di Stephen King


Questo è il "sottoincipit" del capitolo dedicato alla scrittura del libro "On Writing". Porta lo stile sarcastico e immediato dell'autore. Porta anche il piglio da maestrina che i lettori attenti amano tanto. La figura del poeta alle recite, del ricco scrittore mediocre, sono tratteggiate con un segno incisivo e inequivocabile.
Il caro vecchio Steve inizia con lo stesso escamotage ogni sua riflessione, narrativa e non: con un aneddoto, una specie di metafora globale che si relaziona con il concetto espresso in seguito come un contraltare, un appiglio ironico ma efficace. Allo stesso modo in esistono cani cattivi ma gli amatori dei cani non lo ammetterebbero, così accettare il fatto di poter essere cattivi scrittori è difficile per chi ha paura di appartenere alla categoria. Più semplice di così!

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domenica 27 aprile 2008

La solitudine dei numeri primi

Torna a distanza di troppo tempo la rubrica "Magic Incipi". Torna alla grande, con un caso letterario fresco eppure sulla bocca di tutti. E anche sulla mia visto che ho letteralmente divorato questo libro in poco più di un giorno. Parlare bene di questa opera prima del giovane Paolo Giordano è superfluo, la rete è sommersa di recensioni entusiastiche (con le quali sono pienamente d'accordo). Quindi passiamo all'incipit...



Alice Della Rocca odiava la scuola di sci. Odiava la sveglia alle sette e mezzo del mattino anche nelle vacanze di Natale e suo padre che a colazione la fissava e sotto il tavolo faceva ballare la gamba nervosamente, come a dire su, sbrigati. Odiava la calzamaglia di lana che la pungeva sulle cosce, le moffole che non le lasciavano muovere le dita, il casco che le schiacciava le guance e puntava con il ferro sulla mandibola e poi quegli scarponi, sempre più piccoli di un paio di numeri, che la facevano camminare come un gorilla.
«Allora, lo bevi o no questo latte?» la incalzò di nuovo suo padre.


Incipit asciutto, serrato, direi scientifico. Ci pone un problema e poi lo dimostra. Alice odia la scuola di sci, questo è il fatto. Perchè? Per tutti i motivi che seguono. Più dei suoi gusti in fatto di sport, più del tessuto pruriginoso ci infastidisce la figura del padre che non solo sottopone la bambina all'imposizione ma vuole anche che questa inizi presto e in fretta, senza remore.
In realtà questo è uno dei due incipit, perchè le vite dei due protagonisti del romanzo, Alice e Mattia, iniziano separatamente per poi collassare e ridividersi più volte. Proporrei anche il secondo incipi ma vi brucerei la lettura di una storia amara e a tratti struggente. Paolo Giordano ha uno sguardo scientifico e toccante allo stesso tempo su tutte le miserie di una generazione.



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lunedì 31 dicembre 2007

La Ragazza con l'Orecchino di Perla

"La mamma non mi aveva detto che sarebbero venuti. Non voleva che sembrassi nervosa, mi spiegò in seguito. Mi stupii, perché pensavo che mi conoscesse bene. Gli estranei mi avrebbero vista serena. Da bambina non piangevo mai. Solo mia madre si accorgeva di una certa tensione nelle mie mascelle e dello sgranarsi dei miei occhi, già grandi per loro natura. Ero in cucina e stavo tritando le verdure quando udii delle voci provenire dalla porta d’ingresso: quella d’una donna, squillante come rame lucidato, e quella d’un uomo, grave e cupa come il legno del tavolo su cui stavo lavorando. Voci di un genere che raramente si udivano in casa nostra. Mi suggerivano immagini di tappeti preziosi, libri, perle e pellicce.Pensai con sollievo che solo poco prima avevo sfregato ben bene il gradino della porta d’ingresso."

La Ragazza con l'Orecchino di Perla, Tracy Chevalier



Quando si dice un incipit perfetto. Iniziando dallo stile, introspettivo in prima persona, quella ci guiderà per tutto il romanzo. La ragazza non dice una parola, molte poche ne dirà nella storia, però pensa molto, riflette, rimugina elabora, ragiona. Sì perchè Griet, la protagonista, è tutto tranne che stupida, è creativa nel suo essere fascinosamente riservata. Lo si nota dalle splendide associazioni metaforiche che fa per descrivere le voci ("squillante come il rame lucidato") che rendono fin troppo bene l'idea.
Tracy Chevalier ci mette subito al corrente dell'ambiente, una casa povera di un quartiere povero, visto che quelle che udiva erano "Voci di un genere che raramente si udivano in casa nostra"

L'arrivo dei due signori (tra cui il pittore Vermeer) viene descritto da un personaggio che non vede la scena ma riesce a immaginare quello che accade. La personalità di Griet si sente anche dal fatto che è fiera di aver lucidato ben bene il gradino della porta d'ingresso. Griet non si denigra, è orgogliosa e ama fare le cose per bene. Inoltre Griet da bambina non piangeva mai e lasciava trasparire il suo disagio sono da accenni del viso. Queste sono forse la caratteristiche del personaggio che affascinano di più.


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lunedì 24 settembre 2007

Mondo senza fine

Gwenda aveva otto anni, ma il buio non le faceva paura. Quando aprì gli occhi non vide nulla, però non fu questo a spaventarla. Sapeva di trovarsi al priorato di Kingsbridge, nel lungo edificio di pietra chiamato ospitale, stesa a terra su un giaciglio di paglia. Accanto a lei era sdraiata la madre; dal tiepido profumo, Gwenda comprese che stava allattando il piccolo, ancora senza nome. Vicino alla mamma c'erano il papà e poi il fratello maggiore Philemon, di dodici anni.

Mondo senza fine, Ken Follet


Il seguito de "I pilastri della Terra" non delude le aspettative. Lo ammetto, ho una predilezione per l'autore e mi sento in tutta cosienza di dire che "I Pilastri della Terra" è il mio libro preferito, il libro della mia vita. L'incipit è meno potente di quello del primo romanzo (che trovate qui) però è suggestivo allo stesso modo.

Ma parliamo dell'incipt: strano che una bambina di otto anni non abbia paura del buio, perchè si trova nell'ospitale di un priorato con tutta la famiglia se non dichiara di stare male? Tutte domande che pone l'incipit e che nell'arco di due pagine trovano risposta. Non mancano le finezze tipiche di Follet, come il "tiepido profumo" che suggerisce il latte senza nominarlo, dandone molto di più la sensazione complessiva invece che solo visiva.

Il minimo che ci si aspetterebbe da un romanzo di 1300 e passa pagine è una lentezza all'inizio tipica dei "mattoni". In questo ammiro l'autore (al quale ho avuto il piacere di stringere la mano quando ha firmato la copia che sto leggendo) il libro non è MAI lento. Non c'è un momento in cui si sbadiglia o si pensa ad altro, la maestria di Follet sta nel riempire la vita dei suoi personaggi fino all'orlo, avvenimenti, fatti, tragedie, celebrazioni, si sussueguono a ritmo serrato, si intersecano e ci permettono di conoscere un avvenimento da più punti di vista.

Gwenda non ha paura del buio perchè è una ladruncola costretta dal padre, che ruberà una borsa a una famiglia di nobili in disgrazia, sancendo la loro fine (quei soldi erano tutto ciò che avevano). Ma questo è solo l'inizio. Sono a pagina 600 e non so dire come finirà, so solo che ho l'impressione di vivere le vite di cui sto leggendo e non riesco a non appassionarmi.



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venerdì 17 agosto 2007

La Metà Oscura

La vita di ciascuno, intendendo quella vera, non la semplice esistenza fisica, comincia in momenti diversi. La vera vita di Thad Beaumont, un ragazzo nato e cresciuto nel quartiere di Ridgeway a Bergenfield, New Jersey, ebbe inizio nel 1960. In quell'anno gli accaddero due fatti.
Il primo formò la sua vita e il secondo per poco non vi pose fine.

Stephen King, La meta' oscura


So che è già il secondo incipit di Stephen King che inserisco, ma non c'è niente da fare, questo ragazzaccio del Maine ci sa proprio fare. Un incipit ben costruito, che introduce un concetto importante, quello della vita non fisica. Quando inzia la vita che ricodiamo? King dice quando accadono fatti che ce la cambiano, la vita. Non solo il concetto è fondamentale per quanto riguarda la trama del libro, ma circoscrive un universo empirico e personale che è quello delle vicissitudini che segnano l'arco di uun vissuto.



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martedì 3 luglio 2007

Il Giardino Segreto

Quando Mary Lennox giunse nella grande proprietà di Misselthwaite per viverci con suo zio, tutti la trovarono veramente poco simpatica. Ed era anche vero. Il suo corpicino magrissimo, i capelli più gialli che biondi e l’espressione stizzosa del suo visino smunto non facevano certamente di lei una bella bambina. La sua carnagione era gialla quasi come i capelli, perché era nata in India ed era sempre stata piuttosto gracile.

Il Giardino Segreto di Frances E. Burnett



Questo è l'incipit del primo libro che ho letto, avevo 11 anni, credo. Prima di questo romanzo leggevo fiabe. Quelle raccolte da Calvino erano tante e interessanti.
Con questo incipit, l'autore voleva sicuramente fermare nella memoria del lettore l'immagine di Mary quando arriva nella magione inglese. Pur essendo vissuta in un luogo caldo e pieno di vita, come l'India, la bambina arriva smunta e depressa. La ragione è la morte dei genitori e le epidemie da cui era stata allontanata. Nel corso del romanzo Mary cambia molto, cresce, diventa simpatica, altruista, non è più la bambina viziata dell'inizio. Il giardino segreto risveglia in lei la voglia di essere bambina, l'entusiasmo per le nuove cose, la vita e la vitalità trasmessale dalla natura. E' contagiosa l'atmosfera di questo libro, come la fanciullezza.





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martedì 26 giugno 2007

Memorie di una geisha

Immaginiamo di essere seduti, voi e io, in una stanza silenziosa affacciata su un giardino, a parlare del più e del meno e a sorseggiare una tazza di tè verde, e che il discorso cada su un fatto avvenuto tanto tempo prima e che io vi dica: "Il pomeriggio in cui incontrai quell'uomo... fu il più bello della mia vita, e anche il più brutto". Sono convinta che mettereste giù la vostra tazza e replichereste: "Be', come'è possibile? Era il più bello o il più brutto? Una cosa esclude l'altra!" Di solito riderei di me stessa, dichiarandomi d'accordo con voi, ma la verità è che il pomeriggio in cui incontrai il signor Tanaka Ichiro fu al tempo stesso il migliore e il peggiore della mia vita. Mi era sembrato un uomo così affascinante che persino il sentore di pesce che proveniva dalle sue mani aveva un che di profumato. Ma, se non l'avessi conosciuto, sono sicura che non avrei mai fatto la geisha.

Artur Golden, Memorie di una geisha


E pensare che l'autore l'aveva dapprima scritto in terza persona! Il libro, invece, è raccontato dalla piccola Chiyo gettata nel piccolo mondo di gheishe, di piccole donne ingigantite dalla loro aura, così teatrale per noi occidentali. L'icipit è un po' lungo, nella parte iniziale, però l frase finale chiarisce il tutto. Personalmente avrei iniziato con "Il pomeriggio...", in media res, come si usa fare. Diciamo che te lo aspetti un incipit così per questo romanzo e le aspettative non vengono deluse... ma occhio: appropriato e scontato sono due cose diverse!


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mercoledì 30 maggio 2007

L'Alchimista

L'Alchimista prese un libro, portato da qualcuno della carovana. Il volume era privo di copertina, ma lui riuscì a identificare l'autore: oscar Wilde. Mentre sfogliava le pagine, trovò una storia su Narciso.
L'Alchimista conosceva la leggenda di Narciso, un bel giovane che tutti i giorni andava a contemplare la propria bellezza in un lago. Era talmente affascinato da se stesso che un giorno scivolò e morì annegato. Nel punto in cui cadde nacque un fiore, che fu chiamato narciso. Ma non era così che Oscar Wilde concludeva la storia.
Egli narrava invece che, quando Narciso morì, accorsero le Oreadi - le ninfe del bosco - e videro il lago trasformato da una pozza di acqua dolce in una brocca di lacrime salate.
"Perché piangi?" domandarono le Oreadi.
"Piango per Narciso," disse il lago.
"Non ci stupisce che tu pianga per Narciso," soggiunsero. "Infatti, mentre noi tutte lo abbiamo sempre rincorso per il bosco, tu eri l'unico ad avere la possibilità di contemplare da vicino la sua bellezza."
"Ma Narciso era bello?" domandò il lago.
"Chi altri meglio di te potrebbe saperlo?" risposero, sorprese, le Oreadi. "In fin dei conti, era sulle tue sponde che Narciso si sporgeva tutti i giorni."
Il lago rimase per un po' in silenzio. Infine disse:
"Io piango per Narciso, ma non mi ero mai accorto che fosse bello. Piango per Narciso perché, tutte le volte che lui si sdraiava sulle mie sponde, io potevo vedere riflessa nel fondo dei suoi occhi la mia bellezza."
"Che bella storia," disse l'Alchimista.


Paolo Coelho, L'Alchimista

Non ho ancora deciso se l'Incipit di un romanzo sono le prime frasi del primo capitolo o quelle del prologo, quando è presente. In ogni caso, questo è l'incipit del prologo, molto intenso, non c'è che dire. E' Coelho dopottutto. Quello su cui mi volevo soffermare non è tanto l'incipit ma una cosa stupenda che ha scritto più avanti a proposito della Leggenda Personale, questa:

"E' quello che hai sempre desiderato fare. Tutti, all'inizio della gioventù, sanno qual è la propria leggenda personale. In quel periodo della vita tutto è chiaro, tutto è possibile, e gli uomini non hanno paura di sognare e di desiderare tutto quello che vorrebbero veder fare nella vita. Ma poi, a mano a mano che il tempo passa, una misteriosa forza comincia a tentare di dimostrare come sia impossibile realizzare la Leggenda Personale". [...] "sono le forze che sembrano negative, ma che in realtà ti insegnano a realizzare la la tua Leggenda Personale. Preparano il tuo spirito e la tua volontà."

Ci ho pensato e da adolescente, nella fase descritta da Coelho, volevo scrivere e lo facevo spessissimo. Poi la Grafica Pubblicitaria è entrata nella mia vita. Che sia stata una forza negativa?

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Scrivere

Soli, lo si è in una casa. Non fuori, ma dentro di essa. Nel parco ci sono gli uccellini, i gatti e una volta anche uno scoiattolo, un furetto. Non si è soli in un parco. Invece in casa si è tanto soli da sentirsi talvolta smarriti. Ora so di esserci rimasta dieci anni per scrivere libri che mi hanno fatto sapere, a me e agli altri, che ero lo scrittore che sono.

Scrivere, Marguerite Duras



E' forse l'opera più introspettiva della grande scrittrice francese. Non è l'incpit di un romanzo, ma è comunque un ottimo inizio di una storia. Parte dal presupposto fondamentale dello scrittore: la solitudine. Ma non quella imposta, triste, desolata dell'animo umano, piuttosto quella creativa, la scelta di essere da soli con se stessi e con una compagna solerte ma immancabile: l'ispirazione. Da soli, ci dice la Duras, ci si conosce e ci si pone agli altri attraverso se stessi.
Ineccepibile.

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venerdì 25 maggio 2007

Sull'Incipit

Era da un po' che volevo scrivere un post sull'incipit. Oggi sono andato a documentarmi per scrivere un qualcosa di sensato e istruttivo. Su Wikipedia c'è un ottima sezione che spiega per filo e per segno tutta la teoria e la tecnica dell'incipit. E' qui: Incipit su Wikipedia

Mi sono detto: che senso ha scrivere un riassunto? Piuttosto vi dico la mia sull'incipit...


Intanto, checchè se ne dica, l'incipt è fondamentale. Io ci bado un sacco.
Su un campione strettamente personale, ho notato tre tipologie di incipit:
1) L'incipit in ambiente
2) L'incipit in dialogo
3) L'incipit in azione

L'incipit in ambiente è quando si inizia una storia dall'ambientazione. E' molto usato nei fantasy vecchia maniera, ma anche ne i "Promessi Sposi". Si cerca di catturare l'attenzione del lettore costruendogli un paesaggio intorno, come un campo lungo nel cinema.

L'incipit in dialogo è quando si inizia con un dialogo, appunto. Si cattura la scena del mezzo (in media res) e costringe a seguire la scena tra due persone anche solo per capite chi dice cosa e perchè.

L'incit in azione è quello in cui si inizia con una frase ad effetto del tipo "La aspettava da mesi" oppure "Sapeva che sarebbe morto quella notte". Questo costringe il lettore a seguire l'azione per svelare la "X" buttata lì dalla frase ad effetto.

Questo è quanto ho maturato. Non credo ci sia una regola per la scelta su come iniziare. Considerato che la stesura dell'incipit a volte può coincidere col panico da pagina bianca penso che l'opzione non esista. Un incipit è connaturato, non si sceglie, viene da sè, la regola al limite può essere che deve essere un buon incipit!

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La Roba

Il viandante che andava lungo il Biviere di Lentini, steso là come un pezzo di mare morto, e le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte, e i sugheri grigi di Resecone, e i pascoli deserti di Passaneto e di Passanitello, se domandava, per ingannare la noia della lunga strada polverosa, sotto il cielo fosco dal caldo, nell'ora in cui i campanelli della lettiga suonano tristamente nell'immensa campagna, e i muli lasciano ciondolare il capo e la coda, e il lettighiere canta la sua canzone malinconica per non lasciarsi vincere dal sonno della malaria: - Qui di chi è? - sentiva rispondersi: - Di Mazzarò -.

La Roba, Giovanni Verga



E' un po' più dell'incipit della novella, però l'immagine è talmente coivolgente e affascinante che non ho potuto fare a meno di postarne l'intero primo paragrafo. E' una tipologia di incipt molto diffusa, quella della descrizione dell'ambiente. L'autore decide di coinvolgere l'attenzione del lettore mostrandogli l'ambiente. Notevole. La descrizione della campagna siciliana e dell'afa estiva. Gli animali (il mulo), le piante (aranci, sugheri) le strade e i luoghi vengono inglobati in una descrizione molto evocativa. Il paragrafo si conclude con il vero incipit della storia, cioè la battuta sulla proprietà degli appezzamenti. Se infatti la novella fosse iniziata con la battuta, avrebbe avuto un incipit molto moderno e che cattura dal primo istante.
Concludo riportando una frase che amo molto di questa novella:
Della roba ne possedeva fin dove arrivava la vista, ed egli aveva la vista lunga - dappertutto, a destra e a sinistra, davanti e di dietro, nel monte e nella pianura.


Visto che, come avrete capito, questa è la mia novella preferita, ve la regalo, in formato audiolibro, mp3, da ascoltare qui:
La Roba, Giovanni Verga


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domenica 20 maggio 2007

Metamorfosi

Quando Gregor Samsa si svegliò una mattina da sogni inquieti, si trovò trasformato nel suo letto in un immenso insetto.

Franz Kafka, Metamorfosi


C'è poco da dire. Il fattaccio viene riportato nella sua cruda realtà di assunto-assurdo. Kafka non ci dice come è successo, perchè, se è magia, genetica, invasione aliena... niente. Ce lo dice. Cosa possiamo fare noi? La stessa cosa che farà Gregor Samsa. Prenderne atto e reagire, non interrogarsi, reagire e cercare di andare avanti, ignorando il fattaccio, finchè è possibile. In una società alienante come quella descritta nella poetica kafkiana, dove gli assunti spesso paradossali non sono altro che specchio della realtà distorta e macchinosa dell'inizio '900, un assunto così crudo e pugnace non può che alienarci a nostra volta.

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sabato 19 maggio 2007

Stagioni Diverse

[...] Avevo dodici anni – quasi tredici – la prima volta che vidi un essere umano morto. Successe nel 1960, tanto tempo fa... anche se a volte non mi pare così lontano. Soprattutto la notte quando mi sveglio da quei sogni in cui la grandine cade nei suoi occhi aperti.

Stagioni diverse, Stephen King


Il vero incipit di questo racconto precede l'estratto che ho riportato ed è un paragrafo ben scritto sui segreti e sulle cose importanti da dire. Considero però il vero incipit del racconto quello riportato. E' un incipit formidabile, è scritto in prima persona e assume i tratti di un racconto ben inciso nella memoria. Perchè, dopotutto, è una cosa importante.
La parte più bella dell'incipit è la frase finale che riassume la storia. Un bambino che va alla ricerca - con i compagni - di un cadavere di un coetaneo per dargli degna sepoltura. L'immagine è raccapricciante e totalizzante, cattura. La grandine che cade sugli occhi aperti. E' di sicuro un cadavere, altrimenti li chiuderebbe, è all'aperto, sennò non prenderebbe la grandine, è disperso, sennò nessuno l'avrebbe lasciato lì a prendere la grandine, è un incubo per il ragazzo, perchè lo sveglia di notte. Stephen King non sarà un autore letterario di grande levatura, però sa fare il suo mestiere, e non c'è biasimo nel buon lavoro.

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domenica 6 maggio 2007

Il Profumo

Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure più geniali e scellerate di quell'epoca non povera di geniali e scellerate figure. Qui sarà raccontata la sua storia. Si chiamava Jean Baptiste Grenouille, e se il suo nome, contrariamente al nome di altri mostri geniali quali de Sade, Saint-Just, Fouché, Bonaparte, ecc., oggi è caduto nell'oblio, non è certo perché Grenouille stesse indietro a questi più noti figli delle tenebre per spavalderia, disprezzo degli altri, immoralità, empietà insomma, bensì perché il suo genio e unica ambizione rimase in un territorio che nella storia non lascia traccia: nel fugace regno degli odori.

Patrick Suskind, Il profumo




Odore. C'è lui in questo incipit. Il profumo di una grande opera. D'altro canto, come può essere la storia di una figura geniale e scellerata (l'autore ci tiene a ripeterlo), al pari di figure storiche come il Marchese De Sade o Napoleone. Suskind, da come dato di fatto che il suo personaggio sia un simbolo e un genio. Ma un genio di un mondo spesso sottovalutato, quello degli odori. Suskind ha elevato questo mondo a strumento, arma, destino. A tal punto da far divenire il re di questo mondo, un personaggio storico. Come l'autore, del resto.

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sabato 5 maggio 2007

Il Dolce Tocco

Le prime piccole e fredde gocce di pioggia cadevano rade sopra il buio della cittadina. Ilya le osservava battere debolmente contro il vetro, scendere in piccoli rivoli sopra di esso, disegnare curve che solo la natura avrebbe potuto esprimere nella sua fantasia. Scorrevano lente, andavano ad unirsi a quelle cadute sopra lo stretto davanzale in legno oramai rovinato e gonfiato dalle intemperie, e qui formavano un piccolo strato di acqua. E sopra di esso andavano ad infrangersi nuove gocce, sempre uguali ma a loro volta uniche. Ad ogni singolo ticchettio la ragazza stringeva debolmente gli occhi, mentre frammenti di acqua si spargevano tutt’attorno, oltre al vetro gelido della stanza.
Da quanto tempo non dormiva?

Thorin, Il dolce tocco


Direi perfetto nel dettaglio. Questo incipit fantasy, di un racconto pubblicato dal sito Deagonisland, esprime, a mio parere, la capacità di raccontare grandi emozioni con piccoli dettagli. Una donna che si fissa su particolari futili, con lo sguardo perso e concentrato, da proprio l'immagine di una persona frustrata da notti insonni. Notevole.

Leggi il racconto:

Il Dolce Tocco

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mercoledì 2 maggio 2007

Il Barone Rampante

Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l'ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come fosse oggi. Eravamo nella sala da pranzo della nostra villa d'Ombrosa, le finestre inquadravano i folti rami del grande elce del parco. Era mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell'ora, nonostante fosse già invalsa tra i nobili la moda, venuta dalla poco mattiniera Corte di Francia, d'andare a desinare a metà del pomeriggio. Tirava vento dal mare, ricordo, e si muovevano le foglie. Cosimo disse: - Ho detto che non voglio e non voglio! - e respinse il piatto di lumache. Mai s'era vista disubbidienza più grave.

Italo Calvino, Il barone rampante



In questo incipit è racchiusa l'essenza del romanzo: la storia, l'ambientazione storica, lo stile e la disobbedienza. Tecnicamente si può dire che la storia inizia parallelamente al romanzo, poichè la disobbedienza dà luogo al fattaccio.
Inoltre è narrato in prima persona al presente ma con l'impronta di un ricordo, sfumando quindi nel passato remoto.
In pieno stile calviniano la storia parte dal reale, una avvenimento normalissimo (il capriccio) per poi decollare verso il fantastico e l'assurdo.


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martedì 1 maggio 2007

Il Giovane Holden

Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com'è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non va proprio di parlarne.
Jerome David Salinger, Il giovane Holden

In poche righe, Salinger ha concentrato l'essenza del personaggio. La sua anima. La debole riluttanza e l'egocentrismo latente del protagonista. E' l'incipit "che dice che non dirà" ma sappiamo bene che invece il personaggio, contraddittorio e instabile, ci parlerà spesso di sè anche della sua infanzia.

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