548DAB Magie di Omnia: maggio 2010

martedì 18 maggio 2010

Segnalazione libraria

Segnalo una importante e molto interessante iniziativa di un Blog che seguo da molto tempo:

Sul Romanzo Blog - Scrivi il romanzo che c'è in te


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sabato 15 maggio 2010

Fiero del libro

Stancante. L'esperienza del Salone del Libro di Torino è un tour de force da fare col sorriso, perché è il giusto ambiente per uno scrittore in erba, per imparare qualcosa in più sugli scrittori e sull'editoria.

Iniziata con un viaggio estenuante alle sei di mattina per arrivare a Torino Lingotto alle 10, tutto parte con l'ingresso, preferenziale e ridotto, se esibisci una copia del tuo libro. A dire il vero mi ha imbarazzato un po' mostrare la mia copia, lisa dal troppo viaggiare e sfogliare e per di più scarabocchiata. La prima cosa che incontri entrando è il caos. Gente che si sparge in tutte le direzioni, indaffarati, rilassati, con un panino alla porchetta in mano (la porchetta a Torino???), in giacca e cravatta, punk, qualche cosplay, tante bimbominkia della Moccia-generation e soprattutto tanti libri. Pile e pile di tomi e mini-tomi delle più svariate edizioni e fogge. Presentazioni e conferenze in ogni angolo, plasma, telecamere, microfoni tra gente eccitata seppellita da gadget e volantini.
Io sono stato allo stand del mio editore La Corte ho firmato qualche copia con la mia fedele penna blu e poi siamo andati alla presentazione. Divertente e movimentata la bottega delle cose preziose da viaggio ha entusiasmato i piccoli presenti che si sono portati a casa il loro filtro d'amore preparato in diretta. La giornata è trascorsa veloce ma estenuante, con un fugace mini-tour tra gli stand e le facce estenuate degli operatori delle case editrici più importanti.

Questo post, alla fine, risulta piuttosto inutile, per cui ne traggo un finale "educativo", almeno serve a qualcosa. 
Le volti esausti degli operatori come DeAgostini, Mondadori e Co. erano per le continue richieste degli aspiranti autori di cosegnare materiale, avere dritte, indirizzi e numeri. A questo proposito lessi sul Protuario dello Scrittore (se non ricordo male) che è una pessima idea consegnare il manoscritto alle fiere perché nel trambusto dello smontaggio c'è un grande rischio che vadano persi o gettati via. Di contro, in una video intervista, Ghirardi disse che lui aveva consegnato Bryan di Boscoquieto proprio alla fiera del libro. Mi sembra che gli fu risposto di inviarlo in redazione, sta di fatto che trovò riscontro positivo. A questo punto, personalmente, consiglierei di non tormentare gli operatori, fatevi un giro magari, segnatevi i nomi delle case editrici, di quelle che potrebbero pubblicarvi perché hanno prodotti come il vostro esposti. A casa, con calma, chiamate o scrivete una mail, scovate chi valuta gli inediti e spedite a lui. È la via più sicura e meno estenuante.

Detto questo, ho scarpinato per tutti i padiglioni, carico di entusiasmo per lo shopping selvaggio di libri, ma non riuscivo a convincermi su cosa comprare e quanto. Poi una mia amica mi ha detto "io compro solo un libro alla fiera, uno solo e lo scelgo per bene".
Uno solo, mi sono ripetuto. Geniale!
Così ho selezionato e ora, nella borsa, ho il libro dei miei sogni e aspirazioni più recenti:

Caino, di Josè Saramago

L'unica scelta possibile. E presto mi azzarderò a parlarne.

Dal Salone passo e chiudo.


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martedì 11 maggio 2010

Ogni tanto, un respiro

Qualche volta, tra una boccata di smog e una di fumo passivo o mentre annaspi in un web di aria fritta o fin troppo rarefatta, capita di respirare un po' d'aria fresca. E' il caso di Francesca Angelinelli, una scrittrice di talento, che ha messo questo dono al servizio di una recensione sul romanzo. Ho sempre detestato gli scrittori che si auto-incensano, quelli che mettono in bella mostra le recensioni positive. Non a caso riporto con precisione le critiche negative e quelle così così. Questo feed-back però voglio condividerlo. Biasimatemi pure.

Intanto, questo è il link
Parto con il quote

Premesso che a me è piaciuto tanto perché questo libro è pieno di trovate brillanti e originali, penso però che debba essere considerato una… occasione zero (per citare un’espressione usata nel libro). È un romanzo d’esordio e, come spesso accade, ha in sé ancora qualche ingenuità. Ad esempio, in alcuni passaggi è un po’ detto e tende a dare molte spiegazioni che spezzano la narrazione, specie nella primissima parte del testo. Superati i primi tre capitoli, in cui l’autore ha affrontato la necessità di dare alcune coordinate al lettore, questo libro però decolla e non crolla mai.
Quello che mi ha colpito in modo particolare è l’uso di una scrittura fresca, di un divertente rovesciamento dei ruoli, di una costruzione di “universi” assolutamente originale e di trovate che sono sia messe in scena nella storia sia riguardanti il vocabolario. Ho ritrovato ne Le Magie di Omnia tutti quei pregi che spesso vengono citati riguardo la scrittura della Rowling proprio nell’uso e nell’invenzione di vocaboli che vivono all’interno del romanzo, quella stessa capacità di giocare con le parole che rende il testo vivo e frizzante.
Oltre a ciò, questo libro è spiazzante, avvincente e divertente. Ed è questo che lo rende interessante, ma bisogna dare fiducia all’autore, bisogna proprio mettersi nella condizione mentale di chi vuole essere trascinato in un sogno fantastico. Che poi è la premessa stessa del romanzo, chiarissima dal capitolo uno, ma anche dalla copertina che cita se stessa con un intrigante gioco “di specchi” per cui… alla fine sei tu il personaggio nel momento in cu tieni in mano il libro?
Ecco, io credo che questo libro si basi proprio su questo: sull’idea che il lettore deve essere totalmente coinvolto nella storia, deve fare parte dell’avventura stessa. E penso che, nonostante le ingenuità della scrittura (tutta roba superabile, comunque), ci riesca benissimo! Questo a mio parere perché parte da due presupposti intrigantissimi: il primo è una specie di inversione del punto di vista classico della narrativa fantasy e la seconda è quello spirito giocoso da “facciamo finta che…” che coinvolge grandi e bambini.
Cosa voglio dire? Che questa storia poteva essere raccontata anche in un altro modo ed essere in realtà abbastanza classica: due coppie di bambini che si scoprono speciali, la cui missione è salvare i mondi cui appartengono contro un “oscuro signore”. Ma fin dall’inizio, e con una serie di trovate geniali, non ultima quella di mettersi in gioco in prima persona, l’autore scombina le carte e fa in modo che il lettore non possa mai sapere come andrà avanti la storia, anche se in realtà sta leggendo un’avventura che si basa su presupposti che gli sono noti. Gioca coi ruoli. E pone al centro dell’azione… il cattivo, l’antagonista, l’oscuro signore. E, non contento, gli dona un’arma che lo rende un passo avanti agli eroi designati. Con questi presupposti è praticamente impossibile annoiarsi! Capire come procederà l’autore non è cosa semplice ed è uno degli elementi che coinvolge il lettore fino a fargli divorare questa avventura. Una serie di idee secondo me ottime e meravigliosamente usate e che fanno in modo che questo sia un libro con un’altra caratteristica importante, ovvero che più di molti altri diventi una lettura trasversale capace di appassionare lettori di età differenti. Proprio perché ha in sé diversi livelli di lettura e di interpretazione. In un momento in cui si parla tanto di crossover/young adults e declinazioni varie, in cui l’industria editoriale, come se vendesse merendine, punta su un pubblico sempre più giovane, questo romanzo è riuscito a convincermi anche perché la sua capacità di rivolgersi a sensibilità diverse. C’è spazio sia per l’adulto che per il bambino, entrambi coinvolti con rispetto nell’avventura.
Credo davvero che questa sia per Fabio una occasione zero di altissimo livello e che abbia già messo in luce diversi pregi non solo della sua creatività e del sua scrittura, ma anche della sua consapevolezza come autore. Conoscere ciò che si sta andando a scrivere per poterne giocare e farne materia nuova e malleabile è qualcosa di molto importante per costruire un percorso in salita.
Quindi… ottimo libro, grandissimo autore! Assolutamente da tenere d’occhio!



Beh.. che dire? Grazie Fra.

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domenica 9 maggio 2010

L'Acchiappanotti

Dopo la difficile esperienza di recensione dell'ultima volta, torno a esprimere un giudizio su un romanzo che ho terminato da poco. Parlo de "l'Acchiapparatti" di Francesco Barbi. Avevo pensato a una recensione obiettiva, ma non è da me, io ho SOLO pareri soggettivi. Mi sforzerò di fare un mix.

Una volta, durante una presentazione di un libro di Licia Troisi, una ragazzina alzò candidamente la mano e chiese all'autrice "Licia, sulla fascetta del tuo romanzo c'era scritto "Dall'autrice numero uno del fantasy in Italia", credi davvero di essere la numero uno?". Licia, altrettanto candidamente, rispose "Ma perchè, voi credete a tutto quello che dice la pubblicità?". Questa acuta risposta mi è rimasta impressa. Erroneamente si crede che quello che è scritto sulla copertina, nella quarta, nelle alette e, non per ultimo, nelle fascette, sia opera dell'autore.
Non è così. Spesso un autore legge quelle cose per la prima volta quando prende la prima copia in mano, bell'e stampata, magari dallo scaffale della libreria.

Ma cosa c'entra tutto questo col romanzo di Barbi? Semplice: lo strillo in copertina dell'Acchiapparatti dice "Un romanzo innovativo che trascende i canoni del genere fantasy" e come aveva ammonito Licia, io non ci ho creduto poco.
E avevo ragione.
Ammesso e non concesso che esistano dei canoni ben precisi a cui fare riferimento quando si parla di Fantasy, il libro di Barbi non li trascende affatto, per il semplice motivo che l'Acchiapparatti NON è un Fantasy, se dovessi per forza etichettarlo, direi che è un romanzo storico con sfumature fantastiche.

Ora, qualcuno - anche l'autore - potrebbe anche irritarsi, perchè il cartello che sovrasta la scansia nel quale il romanzo è collocato dice proprio "Fantasy".
Il bello delle etichette è che sono come la maglietta di cotone, quando la lavi poi si stringe oppure si allarga, quindi, alla fine, o ti va stretta o ti va larga.
Fin ora non ho dato un'accezione negativa al mio "accenno di parere" perchè non c'è, a me il romanzo è piaciuto, l'ho divorato, 466 pagine lette in poco più di due giorni.
Mi è MOLTO piaciuto.

E allora il problema è solo l'etichetta?
Certo che no, il problema è che mi ha lasciato molte perplessità e ci sono diverse cose che non ho apprezzato.
Dal punto di vista oggettivo, è ben scritto. Lo stile è scorrevole, pulito, descrittivo al punto giusto, i dialoghi sono credibili e i personaggi tratteggiati con precisione e ironia magistrali.
Partiamo dai personaggi. I protagonisti, sono l'anima di una storia. L'anima de "l'Acchiapparatti" è reale e travolgente, che quasi la puoi toccare.
Barbi ci porta nella narrazione sulla gobba del furbo becchino Ghescik e nella mente contorta dell'acchiapparatti Zaccaria. Le loro personalità sono vibranti, escono dalla pagina al punto che sembra di conoscerli, di intuirli.
Le scene d'azione sono ben orchestrate, ricche di suspence e rocambolesce al punto giusto. I paesaggi a dire il vero un po' monotoni e ripetitivi, tipici della scarsa civilizzazione dell'Alto Medioevo.
Ecco, l'ambientazione è quasi miserevole, come lo stile di vita di quasi tutti i personaggi del romanzo.

La struttura è parecchio convulsa, ti trascina e ti tiene incollato, perchè vuoi sapere cosa succede, perchè alcuni lampi di genio messi nei colpi di scena lo rendono avvincente e perchè grazie allo stile scorrevole, difficilmente il cervello ti si intoppa e la vista si affatica.
A onor dello stile dico che non sono MAI dovuto tornare indietro a leggere per capire. Tutte le fasi della storia sono limpide e scorrevoli come un ruscello.

Nonostante tutte queste melodiose note positive, il romanzo non mi ha esaltato, non mi ha fatto sognare più di tanto.
Primo, per il motivo suddetto, perchè catalogato come fantasy mi aspettavo qualche risvolto fantastico in più, e invece per la maggior parte del tempo mi sono trovato a seguire le avventure di un manipolo di viandanti alle prese con la fame, il freddo, il bisogno di denaro e la curiosità.
Secondo, la poca magia che c'è è spiegata male e il rito magico che fa da filo conduttore - oltre che causa scatenante della storia - è confuso e astratto, non è mai limpido come tutto il resto, rimane sospeso nella fantasia, nelle supposizioni e quando finalmente, verso il finale, qualcuno lo spiega, lo fa in modo pedante infarcendolo di accenni storici inutili - tanto da concordare con Gamara nel voler far fuori Melzo pur che smetta di tergiversare - e quando poi mettono in atto il piano per eliminare questa infernale minaccia scaturita dal rito magico, lo fanno in modo molto pratico e per niente magico.

Sembra quasi che all'autore non interessasse esplorare il lato mistico del fantasy, del SUO fantasy, ma fosse preso più dalla passione per una storia d'azione che cattura le vite di poveri e reietti.

Sì, il più grande neo che meno mi ha fatto apprezzare la storia è questo, anzi, è l'unico. Anche nelle parti in cui si cerca di dare un senso alla nascita del mostro attraverso la lettura del diario dello stregone, è tutto molto caotico e intermittente, anche dovuto al fatto che si vuole lasciare la suspence, ma questo stratagemma lascia un po' di amaro in bocca, tanto che quando arrivano quelle parti l'ho trovato più come un rallentare la narrazione piuttosto che un arricchimento.

Due cose, infine, sono degne di un sentito elogio: la prima le scene che narrano la vita delle future vittime del mostro. Sono reali e palpitanti, descritte come se i personaggi non fossero marginali. Nel leggerle ti sembra quasi che altrove, in un altro romanzo, quelle storie abbiano uno spazio tutto loro, un background, e che poche pagine siano state inserite in questo libro da quel romanzo che le racconta.
In poche parole quegli sprazzi di vita quotidiana sono vivi.

L'altra cosa è la scelta - questa volta sì fuori dai canoni del genere - di avere come protagonisti, se non tutti i personaggi, gente brutta. Sembra una banalità ma i romanzi fantasy sono infarciti di belloni, "gnokki", eroi dalla bellezza sfolgorante e dal fascino travolgente. Nella storia di Barbi non ci sono belli, sono tutti sporchi, rozzi, gobbi, matti, deformi, luridi e puzzolenti.
Anche qui, la storia vive di elementi realistici che però nel loro essere a volte grotteschi trascinano un alone di fascinazione non indifferente.
Ah... e poi è autoconclusivo!

Quelli come me, schiavi dell'Happy Ending hollywoodiano, resteranno un po' delusi, proprio perchè non vivono tutti felici e contenti, ma la loro fine-storia è più che soddisfacente.

Come concludere? E' un buon libro, senza dubbio, una lettura piacevole e travolgente, ma a me piace sognare un tantino di più.


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giovedì 6 maggio 2010

Interviste: Lycaon

Apro questa serie di post che avevo in serbo da tempo, così per divertimento. Non c'è modo migliore per conoscere un vostro personaggio che intervistarlo. Sì, proprio così, armatevi di registratore e andate a fargli qualche domanda, come autori. Il risultato, spassoso. Da scrivere e da rileggere.
Cominciamo con Lycaon.


Lo incontro nella Catapecchia, seduto distrattamente sulla sua poltrona malridotta. A vederlo così sembrerebbe uno legato agli oggetti, e forse lo è. Di sicuro è uno che guarda al di là delle cose, scava fino ai contenuti e coglie il valore reale delle cose. Sarebbe anche una caratteristica lodevole, se poi non la usasse a suo favore e contro il bene comune, per così dire.
Non mi viene incontro, non si alza, non mi guarda.
I suoi pensieri sono al di fuori della stanza, in alto, lontano, verso l’orizzonte.
Mi siedo di fronte a lui, mi faccio piccolo piccolo. So di essere responsabile della sua più grande fortuna che si è rivelata la sua più grande disgrazia. Vorrei capire come approcciare con lui, con quale frase brillante uscirmene per attirare la sua attenzione.
Non mi viene in mente niente, la testa vuota è riempita solo dalla sua presenza.
Il fascino dei Lupi di Omnia mi avevano avvertito.
Tossicchio.
Lui orienta un orecchio nella mia direzione come un gatto che dorme ma è sul chi va là.
Lo fa apposta, sa che ci sono ma non vuole darmi importanza.
Sono qui per lui, farò quello che devo fare.
Accendo il registratore e lo posiziono sul tavolino zoppo che mi separa da lui.

Come vuole che la chiami? Lycaon? Oscuromante? Lupo? Sin?
Chiamami come vuoi, sono sempre io.

Ok Lycaon. A cosa sta pensando in questo momento?
A niente. Prossima domanda?

Come vede il suo ruolo all’interno della storia del romanzo?
Mi rivedo, sono io. Alla luce del romanzo scritto, avrei fatto altre scelte. Ma sarebbe una occasione sotto-zero. La storia doveva andare in qualche modo. Mi sarebbe piaciuto che finisse come volevo io, ma col Destino è così, a volte vinci a volte perdi.

Ce l’ha col destino, quindi?
Non ce l’ho con nessuno. Il rancore è potere sprecato. Ti deconcentra da quello che devi fare. Io guardo al futuro. Il mio.

Parliamo delle bambine, che mi dice di Bianca e Viola?
Bianca non la conosco, o meglio, non mi prendo il diritto di conoscerla. È uno dei tanti buoni che non sarà mai felice perché il mondo non gira come vuole loro. Viola invece l’ho avuta nel mio Branco, sono stato nella sua testa e nel suo cuore, mi ha amato come Lupo. Mi rivedo in molte cose in lei, è ambiziosa e vuole essere speciale. Ma è troppo legata al sistema di valori terrestre dei buoni, è troppo legata all’amore, e quindi è debole.

Lei non crede nel potere dell’amore?
Ci credo. Ma ci sono altri poteri altrettanto potenti, se non di più: la vendetta, la brama di riscatto, l’odio. Quello è forte come l’amore, anzi di più, perché si alimenta di esso.

Quindi se lei odia, avrà anche amato.
Forse. Ma è un potere che non mi è mai servito. La mia empatia mi permette di conoscere l’amore, sentirlo anche, di usarlo e manipolarlo come qualsiasi altra emozione. Lo sento in te, ti domina, ti fa sentire speciale. L’ho sentito appena sei entrato, puzzi d’amore come un corpo andato a male. Tutti i buoni puzzano d’amore. Io preferisco dominare che essere dominato.

Io sono lo scrittore, io so che la tua vita non è dominio solo tuo…
(mi guarda gelido) Allora sai che posso controllare anche questo.

Sicuro?
L’intervista è finita, devo tornare alle mie cose, ai miei piani. Ho molto da fare.

Mi alzo, prendo il registratore, lo spengo. L’intervista è finita. Mi sorprendo a provare repulsione per lui. Sarà il fascino del male? Mi dirigo verso la porta. Sento il suo sguardo su di me. Mentre sto uscendo mi chiede, a sorpresa.

Mi ucciderai? Sul serio intendo.
L’intervista è finita e qui sono io che ho il grassetto, le domande le faccio io.

Sento un grugnito in lontananza, mentre scendo le scale e le tavole smosse cigolano sotto i miei piedi. Lo lascio ai suoi non pensieri. Lo ucciderò? Mi viene da pensare che prima o poi tutti ci troviamo faccia a faccia con la morte. Lui ci si è già trovato molte volte fino ad ora, e ha sempre vinto. Non si possono fare statistiche nella scrittura, il Destino non esce dalle pagine.




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